Bam

I nostri missionari arrivarono a Bam nel febbraio 1966 con fr. Claudio Ruggiero da Campobasso, che si interessò subito della brousse (campagna), costruendo un villaggetto di 10 case per i catechisti Ngambay e Laka, e una chiesina a Manang. Alla partenza di mons. Sirgue, fr. Claudio restò solo, ma incrementò e organizzò così intelligentemente il lavoro che mons. Poggi, Delegato Apostolico dell’Africa Centro-Occidentale, ne lodò le iniziative e l’impostazione durante una visita fatta alla missione. Fr. Claudio pensò anche all'assistenza, aprendo un dispensario che il 13 maggio del ’69 fr. Terenzio Farina da Cerignola affidò alle Suore della Pia Unione di Santa Caterina da Genova, che tanta parte avrebbero avuto nella gloriosa e dolorosa storia della missione. Sensibili alle necessità della gente, le suore aprirono una casa-scuola per le “Guide”; una casa-ricovero per i malati; una maternità con sala parto; un laboratorio per analisi e un "isolamento" per malattie infettive.

L’arrivo di altri missionari consentì di allargare le attività fra i giovani in genere, per i quali fu istituita l’Associazione dei Boy-Scouts (con tanto di stampa periodica tutta per loro), e gli agricoltori in particolare ai quali fr. Donato Romolo insegnò a preparare dell’ottimo formaggio con il latte acquistato dai Bororò, una etnia dedita esclusivamente alla pastorizia e con la quale la gente di Bam non sempre era d’accordo sull’uso dei pascoli. Nel 1975, quando ormai si era presa piena coscienza dei bisogni della gente, fu aperta una scuola di artigianato che avrebbe preparato nel tempo un’eccellente generazione di lavoratori che elevarono il livello di vita dei villaggi in cui essi più tardi aprirono bottega. Non fu un lavoro particolarmente difficile, perché la gente a Bam è naturalmente portata all’artigianato, soprattutto a quello del ferro. La vita scorreva tranquilla nella lontana brousse e i fatti nuovi che stavano scuotendo la nazione vi arrivavano attutiti dalla savana. A parte alcuni lievi riflessi conseguenti alla rivoluzione culturale di Tombalbaye e alle prime lotte per impossessarsi del governo da parte dei successivi contendenti, la zona continuò a vivere nella secolare tranquillità africana, alleviata, nei suoi problemi endemici, da due pozzi che assicuravano l’acqua e da una serie di abitazioni nuove con il desideratissimo tetto in lamiera, frutto dello sprone che veniva benevolmente e decisamente dai missionari.

Ma nel 1979 i soliti “informati” (immancabili anche in Africa) parlarono di sommosse a N’Djamena, di disordini a Moundou, di lutti a Doba, Bébédja e Goré. Fino a quando Bam sarebbe rimasta fuori dai conflitti? Una notte il tam tam rullò a lungo. Fu un falso allarme, ma, a ogni buon conto, mons. Régis Bélzile ordinò di sospendere le riunioni e di non lasciare per nessun motivo le missioni. Lo scossone grosso arrivò con la formazione del nuovo governo, che fu a maggioranza musulmana, e quindi spiritualmente lontana dal sud, animista e cristiano. A Bam lì per lì non si ebbero ripercussioni ma a Moundou sacerdoti e suore furono presi e portati in giro fra gli sberleffi degli agenti. Il 9 dicembre 1980 morì il primo sacerdote ciadiano, Francois Ngaibi, e parve a tutti che con lui si chiudesse la prima parte della storia ecclesiastica del Paese, e si aprisse quella moderna, che proprio in quei giorni parlava della caduta di N’Djamena, della fuga di Habré nel Camerun, delle cannonate a Moundou fra i militari favorevoli a Kamaugué e gli oppositori, guidati dal sudista Niambaye. Il cerchio si chiuse e strinse duramente anche Bam, che cadde in mano dei FAN e provocò perquisizioni e saccheggi.  Ai missionari piangeva il cuore lasciare un luogo in cui avevano impiegato le migliori energie, personali e collettive, e che avevano avviato verso una vita più umana e cristiana: con strutture che non potevano ridursi a un cumulo di macerie come la missione di Kou, la prima aperta nel Ciad nel 1929 e non lontana da Moundou, sulle cui rovine essi avevano meditato a lungo.

Verso la fine del 1984 la situazione peggiorò e anche per questo l’annunciata visita del Ministro Provinciale, fr. Pietro Tartaglia, fu vista e attesa come un incoraggiamento di cui si sentiva sempre più il bisogno. Purtroppo essa servì invece ad accrescere angosce e turbamenti perché, prima ancora di vedere tutti i missionari, fr. Pietro fu stroncato da un infarto a Bébédja la notte dell’8 marzo 1984. La rapidità del fatto gettò la costernazione in tutti, compresi i cristiani locali, i quali vollero che fr. Pietro fosse sepolto nella loro terra perché non li abbandonasse, soprattutto in un momento in cui la situazione si stava facendo tragica. Infatti la notte del 9 giugno, vigilia di Pentecoste, si ebbe l’epilogo d’una via Crucis che ormai durava da troppo tempo. Verso le 22 arrivò un manipolo di soldati i quali, col pretesto di rinfacciare ai religiosi presunti “rifornimenti” di medicinali e di carburante ai FAN, chiesero soldi e fecero razzia di quanto trovarono. Si decise di avvertire le autorità del Posto Amministrativo, le quali proposero l’invio di militari per proteggere missione e missionari. Questi ringraziarono, ma rifiutarono “perché – si legge nella cronaca – la loro presenza poteva mettere in discussione il nostro essere missionari di fronte ai cristiani e perché era facile immaginare a quali condizioni i militari si sarebbero stabiliti nelle case destinate ai catechisti”. A questo punto la cronaca della missione si infittisce di note tristi: difficoltà di spostamenti; ripetute visite dei soldati delle diverse fazioni; furti e minacce fino alla visita violenta alla missione del Prefetto di Doba che parlò di “neocolonialismo” e convocò i missionari a Doba per il 25 giugno. Facendo mille acrobazie essi furono puntuali all’appuntamento, ma furono accolti freddamente e, senza troppe discussioni, furono invitati a chiudere definitivamente la missione, trasportando il trasportabile a Baibokoum, in attesa di possibili miglioramenti della situazione. Sulla via del ritorno a Doba, angoscia sopra angoscia, fr. Giorgio Ramolo e fr. Michelangelo Testa vennero fermati, perquisiti e derubati di quanto portavano con loro. Ormai era chiaro per tutti: Bam andava chiusa in fretta salvando il salvabile. “Si riunirono i cristiani e i responsabili – si legge nella cronaca – in un silenzio sofferto e pesante. Fr. Michelangelo parla e dice che forse la chiusura è provvisoria. Non lasceranno solo nessuno: lo Spirito di Dio rimarrà con loro. Siate fedeli alla Parola di Dio – disse ai cattolici in lacrime – Vi chiediamo perdono se non sempre abbiamo saputo dimostrarvi l’amore che abbiamo avuto per voi”.

L'indomani, il 28 giugno 1984, affidati ai responsabili i rispettivi compiti perché la vita continuasse come se i missionari fossero ancora presenti, Bam fu chiusa. Nonostante la sorveglianza dei cristiani, la missione fu saccheggiata e devastata dai “soliti ignoti”, che risparmiarono solo i muri e i tetti in lamiera. Ma non appena è stato possibile, i missionari sono tornati definitivamente con i due fratelli Ramolo, fr. Rosario e fr. Donato, che hanno riaperto la casa il 12 ottobre 1987; hanno riorganizzato la scuola per i catechisti e la scuola di artigianato; hanno richiamato le Suore della Carità di S. Giovanna Antida, subito occupate nell’animazione rurale e nei tre dispensari zonali. Bam è tornata a vivere: la missione ha ripreso il suo ritmo e ha dimenticato i giorni bui della guerra, striati di sangue. In questi ultimi anni sono state ricostruite la chiesa e la nuova casa dei missionari e sono state ristrutturate e riorganizzate la scuola per i catechisti e la falegnameria. 



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